
Obiettivi di vendita fuori misura e pressioni sui concessionari (Harley Davidson Media) - www.PanoramaAuto.it
Cresce la tensione intorno a Harley-Davidson in Giappone, dove l’Autorità Antitrust nipponica sta valutando una maxi sanzione.
Il colosso motociclistico statunitense è accusato di aver imposto obiettivi di vendita irraggiungibili e di aver esercitato pressioni indebite sui rivenditori, minacciando la rescissione dei contratti in caso di mancato raggiungimento dei target. Il rischio è una multa che potrebbe superare il milione di euro, oltre a un danno reputazionale di notevole portata.
Secondo quanto riportato dalla stampa giapponese e confermato da fonti vicine all’inchiesta, Harley-Davidson Japan avrebbe fissato quote di vendita eccessivamente elevate, non in linea con la reale domanda del mercato nipponico. Questo da solo potrebbe non essere un fatto eccezionale nel settore automotive, dove la competizione è feroce; tuttavia, il problema risiede nel modo in cui tali obiettivi sono stati imposti: i concessionari sarebbero stati sottoposti a vere e proprie minacce, con la prospettiva di perdere la concessione se non avessero rispettato le cifre indicate.
In alcuni casi, i rivenditori si sarebbero trovati costretti ad acquistare direttamente dai magazzini le motociclette invendute, per mantenere attivo il rapporto commerciale con Harley-Davidson. Questa situazione di “auto-acquisto” rappresenta un chiaro segnale di una pressione insostenibile, che va oltre il normale rapporto di forza tra produttore e rivenditore.
Il meccanismo dei contratti in esclusiva e la vulnerabilità dei dealer
Un elemento chiave per comprendere la criticità della vicenda è il modello di distribuzione adottato da Harley-Davidson in Giappone. La casa motociclistica americana non gestisce direttamente i punti vendita, ma si affida a una rete di concessionari che operano sotto contratti di esclusiva. Ciò significa che un concessionario Harley può vendere solo modelli del marchio e, in caso di risoluzione del contratto, resta senza alcun prodotto da proporre ai clienti.
Questa modalità di distribuzione rende i dealer estremamente vulnerabili e dipendenti dalle condizioni imposte dall’azienda madre. Un precedente simile era avvenuto nel 2019 con BMW Japan, anch’essa finita nel mirino delle autorità per analoghe pratiche di vendita forzata e quote di vendita fuori scala, risolte poi con sanzioni e richiami ufficiali.
La Commissione Antimonopoli giapponese ha già notificato formalmente alla divisione locale di Harley-Davidson le possibili misure disciplinari e attende una risposta da parte del gruppo. Nel frattempo il marchio americano si è trincerato nel silenzio, probabilmente in attesa di predisporre una difesa formale.

Le accuse di pressioni e di vendita forzata sollevano una questione più ampia sulle dinamiche tra i grandi produttori e la rete di vendita, non solo in Giappone ma globalmente. La linea che separa una spinta commerciale aggressiva da una pratica scorretta è sottile, ma quando viene superata, come sembra nel caso in esame, si configura una violazione delle norme antitrust.
In un mercato regolato da normative antimonopolistiche, come quelle che in Europa e in Giappone mirano a garantire la concorrenza e a tutelare i consumatori, la fissazione di quote irragionevoli e l’uso di minacce contrattuali configurano un abuso di posizione dominante. La legge antitrust, nata per evitare che imprese con potere di mercato limitino la concorrenza e danneggino i rivenditori o i consumatori, si pone proprio a tutela di scenari di mercato equilibrati e trasparenti.
Il caso Harley-Davidson richiama l’attenzione sulle difficoltà che i concessionari possono incontrare nel sostenere richieste di vendita eccessive, spesso a discapito della loro stabilità finanziaria. Il timore di perdere la concessione potrebbe indurli a coprire inventari invenduti con acquisti personali, una strategia rischiosa e insostenibile nel medio termine.
Inoltre, la vicenda solleva interrogativi su quante altre situazioni analoghe possano essere state sottaciute in altri mercati, dove i rivenditori potrebbero aver subito pressioni simili senza denunciare per paura di rappresaglie o per mancanza di strumenti di tutela efficaci.